l’altro/l’altra  N. 2,  dicembre 1997

 

Quale sviluppo?

 

Nel gennaio del 1984, a Parma, in occasione del convegno “Società e futuro” organizzato dagli amici redattori di quella splendida rivista che era “Missione Oggi”, ebbi la fortuna di incontrare Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma. Peccei, che professava la “Realutopie”, si definiva un “vecchio ottimista”, ma non era un ingenuo. Nemmeno a proposito di sviluppo. Ricordo solo il famoso rapporto sui “limiti dello sviluppo” commissionato al MIT (Massachusetts Institute of Technology) proprio dal Club di Roma. - Sviluppo sì, ma quale sviluppo? Per uscire dall’ambiguità congenita al termine sviluppo occorre trovare un aggettivo che lo qualifichi. Si può parlare di “développement durable”, come fa per esempio il direttore di “Le Monde diplomatique”, Ignacio Ramonet nell’editoriale dello scorso novembre: “Proteggere la biodiversità, la varietà della vita con lo sviluppo durevole diventa un imperativo: lo sviluppo è detto ‘durevole’ se le generazioni future ereditano un ambiente di qualità almeno pari a quella ricevuta dalle generazioni precedenti”. Oppure si può utilizzare l’espressione “sviluppo sostenibile”, come fa l’attuale petizione al Parlamento e al Consiglio federale lanciata dalla Comunità di lavoro Swissaid-Sacrificio quaresimale-Pane per i fratelli-Helvetas-Caritas . - Dire che “l’altro” è un vademecum di “sviluppo solidale”, significa condividere l’idea che non c’è autentico sviluppo senza solidarietà globale: tra Nord e Sud del pianeta, uomo e donna, umanità e natura, generazioni presenti e future.                      

 

Vitt